Saturday, February 14, 2015

I paradisi del Pacifico in pericolo

Ogni mattina, noi ci svegliamo e vediamo che l'Oceano è lì, a circondare le nostre isole.
Ma ora l'oceano, influenzato dai cambiamenti climatici, è sempre più vicino. Se non faremo nulla, molte delle nostre isole rischiano di venire sommerse dall'innalzamento del livello del mare. 

(350pacific, organizzazzione giovanile che unisce le isole del Pacifico nella lotta contro la scomparsa delle loro nazioni)

Canoa lungo la riva della laguna dell'atollo di Funafuti, Isole Tuvalu

I cambiamenti climatici ci sono? E se sì, che danni provocano alle isole dell'Oceania?
Il mondo scientifico, anche se non all'unanimità, sostiene che il clima della Terra stia gradualmente mutando.
Bisogna precisare che i cambiamenti climatici sono sempre avvenuti nel corso della storia terrestre, e che in certi frangenti il nostro pianeta era anche più caldo di quanto non lo sia ora, ma è chiaro che mai i mutamenti sono avvenuti ai ritmi registrati nell'ultimo secolo -e men che meno è normale che il tasso di estinzione delle specie animali sia tra 100 e 1000 volte superiore alla media degli altri periodi nella storia terrestre. Esiste dunque un contributo delle attività umane ai cambiamenti in atto.

Per l'Oceania, i cambiamenti climatici non sono solo una variabile che rende la vita più difficile alle persone, come per esempio potrebbe essere in Italia, dove ci si trova di fronte a più valanghe, frane o estati umide e piovose come quella del 2014: in Oceania, anche una piccola variazione del clima può essere questione di vita o di morte.
Nel caso delle isole del Pacifico, i cambiamenti climatici si concretizzano in quattro effetti: aumento del livello del mare, maggior violenza dei tifoni, acidificazione dell'acqua e drastica riduzione -o aumento- delle precipitazioni indispensabili per la vita delle isole.
La combinazione di questi fattori, che ha già peggiorato le condizioni della vita, può rendere le isole inabitabili nei prossimi 40-50 anni, costringendo all'esodo di intere popolazioni dalle proprie nazioni, allo sfratto forzato dalle proprie case di centinaia di migliaia di famiglie.

Fuggire e trasferirsi altrove può essere una soluzione solo provvisoria, oltre che sbagliata: se il problema del rapporto uomo-ambiente non si cura alla radice, quello che ora succede ora alle poco note ed insignificanti Kiribati, Tokelau, Tuvalu e a tutte le altre isole del Pacifico, succederà tra pochi anni in posti come Miami, New Orleans, Guangzhou, Hong Kong, Venezia ed altre città dove l'impatto raggiungerà milioni di persone e richiederà miliardi di dollari, euro, sterline, rubli, yen o renminbi spesi per riparare la negligenza e la poca lungimiranza dell'umanità.

L'atollo di Tarawa, Isole Kiribati: in celeste la laguna, in blu l'Oceano Pacifico


Gli effetti del surriscaldamento nel quotidiano

Abbiamo notato una maggior frequenza nei cicloni tropicali, siccità più gravi e allarmanti altezze del livello del mare durante le maree primaverili.

(Hilia Vavae, Servizio metereologico delle Isole Tuvalu)

Acqua, cibo, alluvioni e malattie: ecco di cosa si deve preoccupare un qualsiasi abitante dei paradisi del Sud-Pacifico oggigiorno.

Coda per la distribuzione di acqua alla gente
durante la siccità del 2011 a Tuvalu
La gente per dissetarsi ha a disposizione solo due fonti d'acqua naturali: le noci di cocco e i pozzi che attingono l'acqua dal sottosuolo. Se il livello del mare si alza, e se aumenta la violenza delle tempeste, il rischio di infiltrazioni di sale nell'acqua dei pozzi aumenta: in periodi di estrema siccità, l'unica fonte di acqua potabile è rappresentata dai piccoli impianti di desalinizzazione e dalle noci di cocco, che in posti come l'isolotto di Betio (atollo di Tarawa, Kiribati), noto come l'Hong Kong del Pacifico per l'altissima densità di popolazione, sono del tutto insufficienti a dissetare gli abitanti.

Per gli abitanti delle isole diventa complicato anche procacciarsi il cibo. Quando la siccità colpisce le isole, le poche coltivazioni, come il pulaka, una sorta di patata dolce, seccano. Le barriere coralline, messe sotto stress dall'eccessiva densità di popolazione, dai rifiuti che spesso vi vengono scaricati e soprattutto dal surriscaldamento e dall'acidificazione dell'acqua, entrano in crisi e con loro i pesci e i crostacei che per millenni sono stati la risorsa più importante nella dieta locale.

L'innalzamento del livello del mare, quando si combina con l'alta marea (la "King Tide" è il nome dato alle maree più alte dell'anno, e il loro numero aumenta) e con la pioggia o i cicloni, provoca alluvioni, distruzione dei raccolti, e, a lungo andare, provoca l'erosione delle coste e quindi il rimpicciolimento di isole, già per conformazione naturale, strette, minuscole e vulnerabili.
Inoltre, si riscontra un aumento di malattie come la febbre di Dengue, la ciguatera (derivata dal pesce contaminato), le malattie causate da virus e, chiaramente, anche la malnutrizione.

Anche la fauna e la flora rischiano di essere compromesse: oltre agli evidenti fenomeni di bleaching, lo sbiancamento dei coralli dovuto all'acidificazione dell'acqua, la diminuzione delle specie marine e terrestri è stata finora gravissima: solo nel 1997, morì il 40 % dei coralli di Kiritimati, atollo delle Sporadi Equatoriali già martoriato dai test atomici americani negli anni '50 e '60, e i 14 milioni di uccelli che lo abitavano se ne andarono.

Bambini a Tuvalu durante l'alluvione
Quando però si parla dei paradisi del Pacifico che affondano, o che vengono sommersi, è necessario chiarire che, in primo luogo, il disastro ambientale non è solo dovuto ai cambiamenti climatici: in alcune isole tropicali, le strategie di pesca utilizzano piccole bombe, gettate sulle barriere coralline, per stanare i pesci; nel Pacifico, è usanza quella di gettare i propri rifiuti a terra o nell'acqua; in alcuni luoghi, non è stato il clima ma la cattiva gestione delle risorse, o la sovrappopolazione, a decimare la fauna. Spesso, dunque, i cambiamenti climatici sono solo una parte del problema (per i rimedi, vedere il secondo articolo di questa serie).
E, anche nella comunità scientifica, c'è chi sostiene che essi non saranno determinanti per il futuro delle isole.

Spazzatura lungo la spiaggia di Funafuti, Tuvalu


Paul Kench, geomorfologo dell'Università di Auckland, Nuova Zelanda, con Arthur Webb, scienziato della South Pacific Applied Geoscience Commission, ha raccolto una serie di foto delle Isole del Pacifico, aeree e satellitari, che risalgono agli ultimi 60 anni: nonostante l'aumento del livello del mare registrato nell'Oceano Pacifico, molte delle isole dell'Oceania hanno mantenuto una superficie costante, o sono addirittura cresciute: questo succede perchè gli atolli sono costituiti da coralli, ovvero strutture costruite da milioni e milioni di piccolissimi polipi. In altre parole, le isole sono costituite da materiali organici che provvedono, nel corso del tempo, ad approvigionare di nuovi materiali e sedimenti le coste. Se questo sia sufficiente per contrastare anche la crescita che l'oceano avrà nel futuro, è presto per proclamarlo, ma è uno straordinario esempio di come la natura non finisca mai di sorprendere.
Conclusioni simili sono anche state raggiunte da altre ricerche negli ultimi anni.

In sostanza, le Isole del Pacifico rimangono ancora in una situazione molto delicata, in balia dei cambiamenti climatici del presente e del futuro, legate indissolubilmente al comportamento e alla salute dell'oceano che le ha generate e che finora le ha nutrite.
Per scoprire quali sono i possibili rimedi ai cambiamenti climatici e alla possibile erosione delle nazioni dell'Oceania, leggete il secondo articolo di questa serie.


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