Saturday, July 9, 2016

L'assassina dei mari (o delle piscine?)

Il suo nome latino significa "essere demoniaco che proviene dall'Inferno", e quello comune, che sia in italiano o inglese, è sempre accompagnato da "assassina". Definizioni evocative e potenti nei termini, ma adatte perlopiù ai blockbuster di Hollywood, che però, per fortuna, preferiscono banalizzare in questo modo gli squali: a nobilitare le orche ci pensò almeno il film Free Willy, del 1993.

Questo animale, in ogni caso, è molto più che il suo nome o la sua immagine cinematografica: dove le orche vivono, c'è chi le ritiene portatrici di vita, non di morte; c'è chi le venera e chi le studia, mettendo alla luce con fatica il loro mondo; e nei luoghi dove esse vengono poi "deportate", mostrano veramente il loro lato più imprevedibile e sanguinario.

Fonte: John Stenersen
Le leggende sulle orche
Gli indigeni delle coste del Pacifico nord-orientale, le cui comunità più integre si trovano oggi nello stato canadese della British Columbia, hanno spiegato a modo loro l'aspetto e la società delle orche, animali centrali nella loro cultura.

L'alternanza tra bianco e nero del loro corpo è la conseguenza, ad esempio, del rapporto fra un'antica orca (tutta nera) e un falco dal piumaggio bianco, la cui progenie avrebbe condiviso entrambi i colori.
Sotto la superficie dell'acqua, le orche erano al comando di un regno con i leoni marini come schiavi e i delfini come guerrieri.

Il rapporto uomo-orca si spingeva oltre rispetto al solo accogliere nel loro mondo le persone annegate: le orche stesse non sono altro che la reincarnazione dell'anima dei capi tribù deceduti, che si avvicinano alla costa sotto forma di mammifero marino per comunicare con gli uomini e, come controparte culturale marina del lupo, per propiziare la caccia dei nativi.

Scultura di un'orca da parte di un membro dei popoli nativi del Canada
Il lato sociale delle orche
Le orche vivono in gruppi familiari allargati, comandati dalla femmina, la "matriarca", seguita da figli e nipoti, talvolta fino a 4 generazioni che viaggiano assieme.
Le orche possono imitarsi tra di loro e offrire insegnamenti ai piccoli, come nelle Isole Crozet, dove le madri spingono i propri piccoli sulla battigia per fare in modo che imparino da soli a tornare in acqua: spingersi in acqua basse fino a rischiare di rimanere spiaggiati può tornare utile se si sta cacciando, ad esempio.

Un altro momento in cui la socialità delle orche emerge, assieme all'istinto predatore che le ha portate a essere note prima di tutto come delle assassine, è nella caccia alle foche in ambiente artico. In alcuni documentari, file di orche parallele caricano verso un pezzo di ghiaccio alla deriva su cui si è rifugiata una preda, immergendosi subito prima di raggiungerlo: l'onda risultante dalla loro collaborazione distrugge il pezzo di ghiaccio e fa cadere in acqua la preda, condannandola. E se così non succede, le orche caricano ancora e ancora, finchè non raggiungono lo scopo.

Anche la loro comunicazione, divisa in dialetti e con un richiamo specifico a seconda addirittura della singola madre, è l'esempio di un mondo straordinario e complesso, fatto ancora di molti segreti e punti di domanda che pian piano la scienza sta portando a galla dalle profondità dei gelidi oceani dove questi animali nuotano.

Quando l'assassina lo è solo in piscina
Un dato eloquente sulle orche e sulla loro natura di spietate assassine è il numero di attacchi fatali all'uomo da parte di esemplari selvaggi: zero.
Non è quasi mai successo che un uomo venga attaccato da un'orca assassina nel suo habitat, nè che essa abbia assunto atteggiamenti minacciosi verso le imbarcazioni. Di morti, inoltre, neanche uno.

Cosa succede, invece, quanto questi animali vengono rinchiusi nelle piscine e usati come pagliacci per intrattenere le persone, passando dallo sterminato Oceano Pacifico e dalle coste dell'Alaska a delle piccole piscine dove la loro vita vale in quanto fa staccare i biglietti degli spettacoli?

Questo si potrebbe chiedere a Tilikum, esemplare maschio catturato in Islanda che nella sua vita a SeaWorld ha già ucciso tre addestratori, e ha in compenso subito numerosi attacchi da esemplari femmine con cui condivideva le piscine.
Spettacolo di Tilikum
Dagli anni '70, oltre 20 attacchi verso l'uomo sono stati registrati dalle orche tenute in cattività, probabilmente a causa dell'ambiente completamente diverso da quello per cui loro sono adatte.

"Negli acquari succedono cose che non abbiamo mai visto nel mare" dice Jim Borrowman dello Stubbs Island Whale Watching, vicino Vancouver.
Un esempio è l'anomala forma della pinna dorsale, che si affloscia a causa di una patologia fisica, come visibile nella foto di Tilikum sopra.
Lo stress, la dieta diversa, la convivenza tra esemplari che, provenendo da luoghi diversi, non comunicano tra loro, e la privazione della vita sociale che le contraddistingue, sono gli ingredienti di un cocktail letale, che risveglia il lato più imprevedibile di orche altrimenti non diverse dagli altri membri della loro specie: quelli che però nuotano nella vastità degli oceani e che, quando uccidono, lo fanno solo per mangiare.

Per approfondire, vi suggerisco il documentario "Blackfish: Never capture what you can't control".

Fonte: Espen Bergersen





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